GUARIRE CON LA VOCE: IL MANTRA NELLA TRADIZIONE INDUISTA
 di Randall McClellan

Il metodo più antico di guarigione attraverso il suono si verifica per mezzo della nostra stessa voce, poiché nel canto si manifesta una comunione immediata con i recessi subliminali della nostra mente nel momento in cui ci vengono evocati origini, esperienze, bisogni e aspirazioni comuni. La nostra risposta al canto di una voce naturale è una risposta totale (biologica, emotiva, mentale e spirituale) perché la sua risonanza è in grado di unire corpo, mente e spirito. Le mitologie di ogni popolo abbondano di leggende riguardanti il ruolo della voce come forza guaritrice e creatrice del mondo, un fatto che spiega la grande considerazione che le viene universalmente attribuita.
Il musicologo Alfred Sendry, nella sua trattazione sulla musica egizia, cita una di queste leggende: “Nella mitologia egizia la Terra è stata creata dal gesto di un dio il cui nome non è rivelato. Questo gesto, riprodotto in un geroglifico, è identificabile con quello usato dal dio Resu per creare la musica. Il nome Resu, tradotto letteralmente, significa Colui che canta” (…)
È certo che nei tempi più remoti l’uso della voce a fini terapeutici si manifestava attraverso inni e canti il cui effetto ritmico e melodico era essenzialmente di tipo sensoriale ed emotivo, inni e canti praticati tuttora dagli sciamani in modo del tutto simile a quanto avveniva migliaia di anni fa. Al canto è stato attribuito il potere di curare ogni cosa, da disordini e affezioni emotive e mentali agli effetti devastanti delle pestilenze.
Quando si pensa al valore terapeutico della musica, si pensa generalmente a canti che esprimono sentimenti di amore o di comunione transpersonali con un universo benevolo. Diventa allora necessario stabilire se gli effetti curativi sono dovuti alla musica o ai pensieri espressi dalle parole. L’effetto di un canto risanatore è subordinato al fatto che lo si canti tra sé o che qualcuno lo canti a noi? Un canto risanatore ha lo stesso effetto se estraniato da ogni tipo di rituale o richiede invece un contesto ritualistico in cui sia parte di un tutto più vasto? Un canto risanatore ha potere di guarigione se rimosso dal suo contesto culturale? Per finire, quando parliamo di canto risanatore ci riferiamo consciamente a una serie di altezze organizzate in frasi ritmiche, veicoli di parole che esprimono idee. E, almeno nelle culture dell’Europa occidentale, tutti e tre gli elementi sono sostenuti da una struttura armonica mutevole. Rimane allora da stabilire quale di questi elementi è il più potente: i suoni individuali, il metro, le parole, l’armonia o una loro combinazione unita a un elemento nuovo, di maggiore entità rispetto alle singole parti?
Se il canto risanatore rappresenta l’applicazione più ovvia della forza guaritrice della voce, sono certo che non è comunque la sola. È indispensabile infatti considerare un secondo approccio basato sul vocalizzo prolungato di altezze sonore individuali allo scopo di far risonare determinate zone del corpo a cui si rivolge la voce. I vantaggi di questo metodo sono evidenti: questo tipo di vocalizzo garantisce a chi lo esegue un feedbaek sensoriale immediato che può essere effettivamente verificato, guida a una consapevolezza interiore, aumenta la concentrazione, rallenta e rafforza la respirazione. Fa vibrare e stimola l’intero sistema fisico, accresce l’ossigenazione del sangue e ne regola il flusso, vivifica il sistema nervoso e influisce sulla secrezione delle ghiandole. Il nostro discorso interiore si attenua, le emozioni si placano, eppure la voce rimane sempre disponibile. Il metodo richiede una dedizione e una concentrazione assoluti, un coinvolgimento della volontà, una consapevolezza dell’ attività respiratoria, una coscienza elevata di quella uditiva e un sistema di feedbaek interno altamente sensibilizzato. (…)

A livello superficiale, ogni frase verbale breve costantemente ripetuta diventa un mantra che penetra la nostra mente inconscia e influenza i nostri pensieri, percezioni e azioni. I mantra si piantano come semi nella nostra mente conscia e, attraverso la loro ripetizione e accoglimento, affondano le loro radici nella nostra mente inconscia. Così radicati, essi esercitano su di noi un potere finché non vengono sostituiti da un nuovo mantra. Quanndo è radicato nel nostro inconscio, il mantra può influenzarci anche se non siamo consapevoli della sua presenza. Il mantra viene solitamente trasmesso da un’ altra persona o, in senso più ampio, può risultare dall’incontro con determinate persone o eventi. Sempre in senso generale, un mantra può avere su di noi un effetto positivo o negativo. Le prime persone che ci trasmettono un mantra sono, generalmente, i genitori e il potere che esso esercita aumenta con il trascorrere del tempo.
L’origine dei mantra va rintracciata nei concetti elaborati dai RigVeda e dalle Upanishad dell’Induismo. I Veda e le Upanishad, che vengono fatti risalire a migliaia di anni fa, rappresentano i due testi sacri fondamentali alla costituzione del pensiero filosofico induista e buddista.
I mantra hanno origine nel concetto di Nada (suono intelligibile) che nelle scritture Tantra Yoga viene definito con il termine Shabd. Nada è il suono primordiale o interiore, l’essenza e l’origine di tutto il creato manifesto e non manifesto. Esistono due forme di Nada: l’Ahata o “suono prodotto”, che si può udire e che “dà piacere” e l’Anahata o “suono non prodotto”, originato dall’unione del respiro e del fuoco e specchio dell’ Anahata.
Dal Nada ha origine il sistema delle cinquanta vibrazioni “madre” (Matrika) che costituiscono il Sanscrito, un linguaggio di “Matrika manifeste”. Il sanscrito ha un alfabeto di cinquanta lettere chiamate Varna, un termine che significa “colore”. Ogni Varna ha un’affinità di colore definita ed è il fondamento della coscienza, la realtà sempre mutevole. In questo modo la coscienza, il suono non prodotto, il suono prodotto, la forma, il colore e gli elementi del fuoco, dell’acqua, della terra, dell’aria e dell’etere sono tutti interconnessi. Ognuna delle cinquanta Matrika manifesta un’energia (Shakti) che può essere sprigionata dall’ attività vibratoria espressa in tre modi:
Pranayama – controllo della respirazione
Mantra – suono
Alchimia – i cinque elementi
I mantra, un termine che risale al linguaggio sanscrito, sono formati da queste cinquanta Matrika, chiamate anche BijaaMatrika (seme-madre), combinate in base al loro rapporto naturale. I mantra cosÌ ottenuti sono suoni mentali creati o ricevuti a scopi particolari. La ripetizione del mantra è detta Japa e può avvenire in tre modi: a voce alta, a voce bassa o in silenzio. Quest’ultima modalità è considerata la più efficace. Quando al mantra si accompagna una specifica disciplina di respirazione, l’attività vibratoria di entrambi si unifica e determina una trasformazione graduale della coscienza. I mantra, quindi, sono formule sonore costituite dalla combinazione attenta di Bija-Matrika. (…)
Secondo Pandit Usharbudh Arya, maestro di mantra e meditazione, coloro che formularono i primi mantra “sperimentarono tutte le possibili strutture sonore e annotarono con cura l’impatto che la pratica di tale pensiero contemplativo esercitava nei più intricati recessi delle loro personalità mentali”.
Si dice che il canto dei mantra esercita due influssi benefici sulla mente:
1. annienta le tendenze indesiderabili della mente
2. coltiva le tendenze desiderabili della mente
Esistono due tipi di mantra: il mantra seme monosillabico che agisce sui livelli impercettibili della vibrazione e non ha in sé alcun significato discorsivo e il mantra discorsivo polisillabico dotato di potere evocativo. Quest’ultima forma di mantra è spesso associata alle divinità e costituisce un’invocazione di aiuto. Il potere di questi mantra dipende generalmente dal bagaglio culturale o religioso dell ‘individuo mentre il mantra seme-sillaba crea strutture sonore vibratorie nello spazio che trasmette movimento “alle rispettive forze psichiche o chakra e libera l’ individuo dai legami restrittivi sciogliendo i nodi a cui egli si è legato”.

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